A Futura Memoria di Marcello Bonazzola

Pubblicato nel 2010, due anni prima della sua morte, A Futura Memoria è una sorta di testamento spirituale di Marcello Bonazzola, scritto nel suo inconfondibile stile: senza un apparente filo logico, saltando (sempre apparentemente) “di palo in frasca“, ermetico quando non vuole farsi capire facile, poetico e immediato quando vuole parlare dritto al cuore e con una osservazione della società di oggi disincantata e lucida.
E’ un libro, più che da leggere, da ascoltare in silenzio con animo aperto e da lasciar decantare per il tempo necessario. Seguendo l’avvertenza che Ma.Bo. ha scritto nella sua introduzione:
Se cercherai di interpretare queste indebite euforie con la ragione otterrai dei risultati ammoscianti.
Se immaginerai di coglierne il senso con il cuore, una piccola fiamma di luce comincerà ad illuminare le pareti della tua caverna.
E vedrai ombre strane scivolare sulla roccia e ti potranno anche sembrare dei mostri o delle assurdità.
Ma se ricorderai che sono solo delle proiezioni di qualcosa che sta davanti alla fiamma che respira, adagio adagio ti renderai conto che crearti paura o fastidio è un trucco della mente per limitare la tua libertà; di guardare, di vedere, di sapere, di capire, di fare, di conoscere, di riconciliarti, di vivere, di meravigliarti, di crescere, di condividere, di amare te stesso e la realtà che ti appartiene e di cui fai parte. Altro da dire? No. Ho finito l’acqua.

costo: 25 euro comprese spese di spedizione

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un passaggio del libro

“Nessuna buona azione è mai rimasta impunita”
(omaggio a Silvio Ceccato)

In un mondo radicalmente in crisi, la nevrosi non è solo dentro di noi, è anche fuori.
Il mondo si è riempito di sintomi di una malattia complessiva: la difficoltà di essere abitanti adeguati di un’astronave malata.
Le strutture sono malate, gli addetti alla gestione dei moduli operativi sono malati, i sistemi di comunicazione e di informazione sono malati e così quelli che sono deputati alla formazione e allo sviluppo compatibile, sono malati.
L’unica salvezza, per il viaggiatore che nutra ancora l’illusione di farcela a sopravvivere al meglio e la speranza di un benessere prossimo venturo, è la scelta di coltivare un organizzato atteggiamento mentale che gli permetta di difendersi dalle aggressioni che, diversamente, lo distruggerebbero.
Questo non significa annullare le emozioni e i sentimenti, i sogni del pensiero o del cuore; vuole invece dire mantenere la capacità di porsi di fronte al mondo che ci circonda riuscendo sempre a discernere quello che è naturale da quello che è definito sociale; ma, soprattutto significa riattivare la nostra naturale capacità di diventare abitanti di noi stessi, del luogo in cui viviamo, delle situazioni contingenti che dobbiamo affrontare, mantenendo il controllo e la tranquillità operativa della nostra mente.
Resta inteso che piacersi ed essere bene accetti a se stessi non può prescindere dall’accortezza di impegnarsi a piacere ed essere bene accetti anche a quelli cui teniamo.
L’alternativa è l’emarginazione sociale e il solipsismo.
Un po’ come dire: nessuno può trovare tutto solo in se stesso; e questo perché ognuno di noi è capace di qualcosa di più del vivere inutilmente e anche di almeno un piccolo atto di altruismo gratuito anche se solo e contingente comparazione del proprio naturale egoismo impaurito e disperato con la paura e la solitudine di ciascun altro simile.
È pur vero che i massimi sistemi sono chimere e paraventi di quanti sanno poco di tutto e niente delle minime cose ma è altrettanto vero che se uno non coltiva almeno un paio di ragioni per sperare, difficilmente gli riuscirà di morire vivo.
Per concludere, in totale umiltà mi permetto di parafrasare Madre Teresa di Calcutta e dirò: quello che noi facciamo non è che una piccola ½ goccia in un oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una piccola ½ goccia in meno.
Ha un qualche senso tutto ciò? Non lo so; forse, probabilmente, no.
Ma, in questa prospettiva, come mi sento? Io credo che, in un mondo di opinabilità, il come ci si sente, un senso l’abbia.
Di certo, per ognuno di noi.
E per quanti accettino di condividere con noi questa necessaria utopia che se anche solo una piccola parte di un progetto di cibernetica sociale riuscisse ad assumere la forma sostanziale di un’utopia necessaria allora sì che la faccenda potrebbe cominciare a farsi interessante.

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